Guarda dove ti ho portata! Introduzione alla pedalata appenninica per una ciclista alpina

Valtaro

Lei, la Ciclista, viene dalle Alpi. E dal Piemonte. Come dire: voi non sapete cosa sono le vere salite, le strade che salgono verso le vette e il volo delle aquile (i ciclisti alpini sono anche un po’ retorici). Naturalmente non vanno bene neanche i vini che accompagnano i piatti di salumi nelle soste di ristoro: Gutturnio e Bonarda, di corpo troppo esile nei confronti dei nobili rossi piemontesi, sono sdegnosamente declassati al rango di bibita gassata.

 
 
Sui vini non ci si azzarda a discutere. Sulle strade e le salite di Appennino invece si: allora ci si dirige sotto la linea tracciata dal Po e si comincia farle percorrere le tante valli scavate dagli affluenti di riva destra. Per vedere che fine farà quel sorrisetto di sufficienza quando imparerà con le sue gambe la prima lezione della grande dorsale d’Italia: se le Alpi si salgono, gli Appennini si percorrono e si attraversano. Con fatica, non poca, ricompensata da una bellezza nascosta ed inaspettata.
 

 
Per me, nata alle pendici del Monte Rosa, uno dei grandi 4.000 delle Alpi, ogni altura al di sotto dei 1.500 metri è poco più di una protuberanza che si erge dalla pianura. Nulla di abbastanza elevato da permettere di guardare verso orizzonti celestiali, come succede sulle Vere Montagne. Quelle di casa, appunto. Che mi accompagnano da quando sono nata e fanno da sfondo a molte scelte di vita. Sono una delle mie passioni, le montagne. Come la bici. Unirle è stato un attimo. 
E via alla ricerca delle salite più impervie, quelle che mi portavano dove potevo guardare il mondo dall’alto. Andiamo a fare un giro dalle nostre parti? Non ero preparata a questa proposta. Le tue parti? Ma tu sei “uno della pianura padana” e io odio la pianura! No vedrai, sostiene lui, ti piacerà. Pane per i tuoi denti, anzi…gambe. E poi le Alpi si salgono, gli Appennini si percorrono. Sì vabbé, che vorrà mai dire questa frase e questi Appennini che saranno mai! D’accordo andiamo, ma ricorda che non avrai molte altre possibilità. Sono snob? Forse… sai, vengo dalle Alpi. Quelle sono Montagne. Le tue…vedremo.
 
 
E ha visto. Col fiato corto e le gambe pesanti, perché non importa a che altezza sali ma con quale strada ci arrivi. Dimenticati la logica ascensionale delle strade alpine: la vetta là in alto che aspetta e il percorso da fare disegnato come da un tratto di penna sul fianco della montagna. Qui invece non ci sono punti di riferimento e la strada sale senza coerenza né costanza: scorre tranquilla, punta verso l’alto senza preavviso, spiana per un po’, poi scende, si inventa un paio di tornanti e risale. Vedi un varco tra gli alberi e pensi di essere al passo: niente da fare. Altro strappo, altro rifiatare, altro varco che non è ancora l’ultimo.
 
Sono strade da imparare a memoria, come le poesie quando andavi a scuola. Ma sono versi sciolti, non ti danno il ritmo: un endecasillabo ti fa riposare poi una terzina implacabile ti riporta su.
E lei, la ciclista alpina, non ha ancora memorizzato bene e ogni tanto si fa sorprendere ancora dall’ultimo chilometro che ultimo non è. Per fortuna ha cominciato anche a capire che altre sono le vere sorprese delle navigazioni appenniniche. La prima è che se lasci il fondo valle la pedalata è quasi sempre solitaria, dimentichi le auto per ore e ti muovi nel silenzio tra i boschi e nel verde delle decine di vallette attraversate. Poi ci sono gli sguardi improvvisi: dopo una curva, in cima a un passo, quando un traverso ti porta fuori dal bosco. “Guarda dove ti ho portato!”, che è un po’ il motto del nostro pedalare: la vista a picco sul torrente che si incassa in una gola, il paese arroccato tra i faggi e i castagni sull’altro versante della valle, la fuga delle cime appenniniche che sembra quella delle onde frastagliate di un mare mosso, gli scorci incongrui di rocce scure che emergono tra gli abeti come angoli di altre montagne finiti qui non si sa come.
 
 
 
Insomma, dopo ore di pedalate, decine di chilometri e migliaia di metri di dislivello un po’ di spirito appenninico lo ha imparato anche lei. Per i vini, si vedrà.
Spirito appenninico. Lo chiamano così da queste parti. Che ora sono diventate anche un po’ le mie parti. Certo, le altissime vette alpine sono lontane. Ma qui le alture dolci, i colori contrastanti e i profumi intensi dei boschi ti danno un senso di pace e di libertà impensabili. Forse unici. E il desiderio di ritornarci per fermarti l’ennesima volta dietro una curva, in cima ad una salita, e ammirare sempre un po’ stupita la bellezza di queste “piccole” montagne. Che, forse, così piccole non sono e hanno tante storie da raccontare, fatte anche di persone. Da scoprire sulla nostra bici. Pronti… un altro giro ci aspetta.
 
Le immagini ed i testi di questo post, ci sono stati gentilmente forniti da Piero Politi e Luisa Giolito, ciclisti e membri del gruppo di lavoro attraverso il quale è stato possibile realizzare il progetto #AppenninoExpress.  Grazie a Piero e a Luisa per questo bellissimo racconto.